Denise Caggio.
Io non lo so come la sostenibilità sia entrata nella mia vita.
Forse è sempre stata lì, forse si trattava semplicemente di dare un nome ad un insieme di valori che includono rispetto, empatia e credo anche un pizzico di ingenuo ottimismo.
Non ricordo nessun evento scatenante che abbia acceso la luce della sostenibilità nel mio cervello, come fosse una grande insegna al neon che all’improvviso si staglia nella notte. Penso piuttosto che si sia trattato di un percorso di consapevolezza come tanti, fatto di un passo dopo l’altro, sul quale ancora mi trovo.
Ci sono stati passi che ho compiuto in punta di piedi e veri e propri salti nel vuoto, di quelli che devi prendere la rincorsa e il cuore batte sempre un po’ più forte mentre si avvicina il momento di staccarsi dal suolo.
È andata pressappoco in questo modo quando ho deciso di mollare un lavoro sicuro come account e digital project manager (perchè sì, questo è il mio titolo sul curriculum vitae) e di rinunciare ad un contratto indeterminato in cambio di nulla di certo, solo di tanta motivazione e fortissima determinazione a voler lavorare nel campo della moda sostenibile, mettendo le mie capacità e il mio tempo a servizio di uno scopo nobile. Quello sì, è stato un passo che mi ha fatto sentire elettricità sotto ai piedi – e quanta gioia.
Ci sono stati anche passetti più timidi, come l’apertura di una pagina social che servisse da memo a me, in primis, e che aiutasse altri che come me si trovano su un percorso verso uno stile di vita più sostenibile, condividendo news e semplici pillole green.
Se ci pensiamo, nella moda vale lo stesso: ci sono brand che tentennano, che di fronte alla sostenibilità girano i tacchi; e poi ce ne sono altri che fanno passi fermi o che addirittura vi balzano dentro decisi, a piè pari.
Good non ha paura della sensazione di elettricità sotto ai piedi e ha ben deciso di balzare nel mercato della moda italiana con un’offerta tutta sostenibile e Made In Italy che prende sfacciatamente a calci il modello fast dei colossi del fashion e strizza l’occhio alla moda circolare.
Lo fa basandosi su principi etici e servendosi della tecnologia: è grazie a quest’ultima che è infatti possibile ricavare del filato dagli scarti della produzione del latte, dalla polpa del legno di faggio, dai frutti dell’albero di Kapok e persino dalla polpa degli alberi di eucalipto.
Proprio di fibra di eucalipto sono fatte le mie nuove calzine preferite, arrivate in una box che sotto l’albero di Natale ci sta che è un bijoux.
Portate con dei mocassini second-hand mi fanno sentire un po’ Levante (solo un po’, c’è ancora da camminare parecchio!).
Si tratta della new entry in casa Good Sustainable Mood: la fibra di eucalipto (che sull’etichetta trovate certificata OEKO-TEX e Tencel) è nientepopodimeno che ciò che in gergo tecnico chiamano Lyocell. È un tessuto molto furbo per un paio di calze perché naturalmente antibatterico, termoregolante, molto resistente e traspirante grazie ad un potere assorbente che “cotone, scansate proprio”. E poi – posso dirlo? Il tessuto è molto più morbido di quanto immaginassi. Le calze sono sottili ma non leggere, tanto meno fredde; la sensazione è quella di non averle nemmeno ai piedi – invece ci sono eccome, ed è giusto mostrarle. Pure con un certo orgoglio, direi.
Le proprietà del lyocell le rendono perfette da portare anche con una scarpa da tennis, si possono tenere tutto il dì senza antipatici problemi di umidità. Oltre ad essere belle vere calzano anche benissimo (pur essendo taglia unica), quindi le più audaci fashionistas possono sicuramente osare e portarle in bella vista anche con un sandalo con tacco! Io per ora non mi spingo più in là del mocassino – un passo alla volta, non biasimatemi.
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